martedì 30 agosto 2016

GENE WILDER - UN SEDATAVO ALLA MALINCONIA


Non volevo scrivere questo post. Che poi non è neanche un post: è un pensiero, forse...
O meglio, non volevo tornare a scrivere sul blog dopo le ferie con una notizia di questo genere, e lungi da me dal fare coccodrilli strappacoglioni alla StudioAperto, squallidi servizi da cacciaviti negli occhi come quelli di Vespa o anche solo il piangina forzato a comando quando muore uno famoso come scrive Zerocalcare.
Perché se così fosse allora quest’anno di post del genere avrei dovuto scriverne almeno dieci, che tra David Bowie, Alan Rickman, George Kennedy, Anna Marchesini, Umberto Eco, George Gaynes, e Bud “Bambino” Spencer (e non solo…) questo 2016 ha già lasciato tre metri sotto terra tanta, TROPPA gente.


Ma quest’anno, unanimemente riconosciuto come “supremo anno dimmerda per la cinematografia della nostra infanzia/adolescenza tutta", non ha ancora smesso di far danni.
E capisco la vecchiaia, capisco i mali troppo forti per la medicina moderna, capisco la disgrazia, capisco tutto quello che volete, ma sta di fatto che ora Gene Wilder non c’è più, ed esattamente come due anni fa vengo volgarmente a scoprirlo da Facebook tra un meme e una preview inutile, ed esattamente come due anni fa c’ho un vuoto dentro che è una cosa assurda, mi rattrista, mi butta a terra senza nessun motivo apparente, perché ok che io con Gene Wilder non c’ho neanche mai parlato, ma lui a me invece ha dato tantissimo, senza neanche saperlo.


Un altro essere incorporeo a cui ho dato vita per anni grazie ad un videoregistratore e un tubo catodico, uno che i tempi comici li aveva nel sangue, uno magari dalla carriera altalenante ma del quale mi bastava quella manciata di pellicole che mi porto dentro tutt’oggi, un altro pezzo d’infanzia che se ne va a farsi fottere per questa stupida, odiosa cosa che alla fine s’invecchia, e non c’è spoiler che tenga perché il finale è sempre quello.
Sono le regole del gioco, dicono. E allora vuol dire che il gioco ha un finale di merda.
Tipo Atmosfear.


E’ molto egoista da parte nostra ricordare un artista per un ruolo e relegandolo a quello, senza pensare al mondo che gli girava intorno, ignorando o non curandoci del fatto che aveva una famiglia, figli, moglie, amici, ma in fondo è normale perché in questi casi non siamo legati all’uomo in sé, che non abbiamo mai conosciuto, ma ai ricordi di mille risate, ai suoi personaggi iconici, a quelli meno riusciti ma non per questo meno importanti, ad un modo intelligente di fare comicità, a tutto quello che ci ha lasciato.
E cosa ci ha lasciato Gene Wilder? Ci ha lasciato il vero e unico Willy Wonka (Depp scansati, fa il piacere, su), Sigerson, il fratello più furbo di Sherlock Holmes, il Leo Bloom di The Producers, Jim il vicesceriffo ubriacone in Mezzogiorno e mezzo di fuoco, la Volpe de Il Piccolo Principe, lo Skip di Nessuno ci può fermare e… ma perché dilungarsi in liste, quando la maggior parte della gente lo ricorderà solo come il Dr. Frankenst(e)in di Frankenstein Junior, o “quello sordo” di Non guardarmi…non ti sento?


Sarò io che mi sento vecchio e stanco di un cinema che non mi fa più ridere quando vorrebbe, sarò io che mi esalto ancora per film degli anni 70/80, sarò io che quando se ne va un interprete, un regista o un autore che per me ha significato qualcosa mi prendo male, sicuramente è un problema mio e del fatto che mi sembra di restare fermo mentre il cinema va avanti e cambia e muta e nonostante tutto non lo riconosco più.
Fatto sta che anche Gene Wilder ha salutato tutti col bacio lanciato dalla carrozza in partenza, evitato prontamente all’ultimo istante con schivata automatica dall’eterna fidanzata stronza, e in tutto questo tirando le somme il meglio che possiamo sperare è di non essere stati noi la sua eterna fidanzata stronza, perché ci sono volte in cui è molto meglio essere un bastone troppo corto per camminare, o un amico scemo con una gobba instabile su cui poter contare, in fondo.

"INGA!!!"

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